mercoledì 18 luglio 2012

Unità d'Italia: Analisi della poetica del Giusti, Sant'Ambrogio (2011)

Questo testo fu pubblicato dal poeta italiano Giuseppe Giusti nel 1845 e, nonostante non sia oggi tra le opere italiane più conosciute del tempo, dovrebbe nuovamente imporsi all’attenzione del lettore per originalità e rovesciamento delle regole del classicismo, in ossequio allo spirito romantico del tempo. Vergato in ottave, le stesse che avevano permesso all’Ariosto ed al Tasso di rendere immortali i propri poemi cavallereschi grazie ad un linguaggio aulico e ricercato, il testo in analisi sembra invece fare popolarmente “il verso” a quella gloriosa tradizione, presentandosi sin dalla prima strofa come “satira vulgata di costume”. Solo all’apparenza, però, il componimento potrà risultare di facile e divertente lettura, perchè fra le sue strofe, nemmeno tanto nascosto, si potrà scorgere un’acuta analisi della “pietas” italica, insieme ad un più generale esame dei fini e degli strumenti del potere politico e militare di ogni epoca. Il poeta, non desiderando rispettare i dettami del classicismo, utilizzerà senza scrupoli una terminologia popolare, anche se mai volgare, all’interno del testo, facendo in modo di far risaltare il suo messaggio proprio dal contrasto continuo tra l’irrisione degli eserciti invasori e la compartecipazione alle loro pene. Ed è proprio in questo contrasto che appare insita la nobiltà del Risorgimento italiano, volto sì all’indipendenza ed alla libertà della Patria, ma anche ad un ideale di pace, di comprensione, di rispetto per gli altri popoli. Queste caratteristiche, di netta derivazione mazziniana, influenzarono gli intellettuali dell’epoca ed il Giusti non fece eccezione.
Uomo liberale, convinto che l’arte e la letteratura potessero servire a forgiare un nuovo e più nobile “senso comune”, con questo testo l’autore dileggiò anche chi, per paura o per viltà, divenisse servo zelante dell’invasore, ricavandone qualche effimero titolo di risulta (Vostra eccellenza): E’ probabile, infatti, che il destinatario dell’opera non vada cercato in nessuna figura storica ben definita, ma in un generico “pubblico ufficiale” italiano fin troppo sollecito nell’ossequiare il potente di turno. L’opera può essere perciò divisa in tre parti fondamentali con una chiosa comica finale: (Ottave con endecasillabi con rima A-B-A-B-A-B-C-C)

1° PARTE - Ottave 1-4. L’apertura della poesia è nettamente popolare “mi sta in cagnesco”, (Essere adirato con…). In questi primi versi l’autore si rivolge ad un indefinito pubblico ufficiale, che lo accusa di avere in odio gli invasori austriaci, canzonandolo perchè probabilmente non ha nemmeno letto il “best seller” dell’epoca: i Promessi Sposi (impegnato com’è ad ossequiare i potenti). “Nesci”, alla lettera, significa: che non sa, dal latino “nescire”, non sapere.  A seguire, con l’artificio di un casuale incontro con un battaglione dell’esercito austriaco intento ad assistere ad una Messa nella Chiesa milanese, l’autore descrive il proprio ribrezzo nei confronti di quella “soldatesca”, dipinta in modo caricaturale e grottesco. (Nonostante l’incontro avvenga in un luogo protetto come una Chiesa, infatti, l’autore si sente quasi “violato” nel vedere la casa del Salvatore invasa dai propri nemici giurati) Il cattivo odore emesso dalla “marmaglia”, fa sembrare di “sego” (grasso di equini, ovini ma soprattutto di bovini) anche le “pure” candele del Signore. Insomma un giudizio sferzante sulle truppe degli invasori, descritte come un’accozzaglia di burattini baffuti, sporchi e senza cervello, capaci solo di scattare meccanicamente sull’attenti di fronte ai superiori.

2° PARTE - Ottave 5-7. D’un tratto però, nel momento della consacrazione dell’Ostia da parte del sacerdote, l’autore sembra cambiare, almeno in parte, disposizione d’animo rispetto alla soldatesca. I pregiudizi iniziano ad incrinarsi a causa di un coro... Dalle trombe di guerra, create per portare morte e distruzione, esce invece una musica malinconica e per di più una musica italiana, il coro di Giuseppe Verdi: “O Signore dal tetto natio”. (Dall’opera: “I Lombardi alla prima Crociata”, nella quale si descrive un esercito mosso dalla fede per la conquista del Santo Sepolcro, che, colpito dagli stenti e dalla sete, si ritrova a sognare i luoghi natii.). L’artificio qui è doppio: Il parallelismo tra la trasformazione dell’Ostia nel corpo di Cristo, contribuisce a trasformare anche il pensiero del Giusti, che comincia a vedere quegli odiati burattini per ciò che sono in realtà: degli uomini come lui. Ovviamente il mutamento del pensiero viene agevolato grazie alla complicità di una musica italiana, di uno degli autori più in voga del momento, considerato inoltre fra i più “patriottici”. Un sentimento umanissimo, quello che sorge nel petto del Giusti, quello di unirsi al coro, senza più pensare di essere in mezzo a dei nemici, ma semplicemente ad altri fedeli come lui. In questo modo è più facile anche superare le “ubbie”, i pregiudizi, che ognuno di noi porta sempre con sè.

3° PARTE - Ottave 7-12. L’autore, quindi, tentenna, ma non vuole abbandonare il proprio risentimento contro quelli che sono pur sempre degli eserciti invasori e cerca di darsi un contegno appena concluso il coro verdiano. Eppure un secondo “tiro mancino” lo coglie di sorpresa: Un altro canto, ma questa volta nella lingua madre delle truppe austriache, il tedesco, si eleva nella Chiesa e lascia il Giusti interdetto e pensieroso: A questo punto i riferimenti alle “bocche di ghiro” (animalesche) ed ai “fantocci esotici di legno”, non sono più strumenti canzonatori utilizzati contro le truppe dell’Impero, ma vengono inseriti nel testo allo scopo di ridicolizzare il pregiudizio stesso che il poeta aveva nei confronti di quei semplici esseri umani. I toni ridicoli lasciano il passo ad una riflessione più profonda della condizione del popolo italiano reso schiavo dagli austriaci, ma anche degli stessi eserciti oppressori, manovrati come semplice strumento di prevaricazione dall’imperatore viennese. Un potere politico lontano dalla realtà che, disprezzando i popoli a lui sottomessi, non si fa scrupolo di vessare anche i suoi stessi concittadini, costringendo i propri soldati ad acquartierarsi in paesi ostili, che non faranno altro che combatterli e deriderli. Truppe paragonate a “mandrie” che, in continua transumanza (godendo della stessa considerazione delle greggi), vengono sfruttate e macellate per tornaconto economico del padrone. Una vita dura, triste e solitaria che, solo in Chiesa di fronte ad un Dio che rende tutti fratelli, sembra trovare un po’ di conforto attraverso il canto solenne ed il rito della Comunione. Quel conforto che il Giusti stesso non può negare loro, in un atto di misericordia nei confronti dei propri acerrimi rivali, nel più alto rispetto del messaggio evangelico “ama il tuo nemico”. Nelle ultime due ottave il crescendo della “pietas” si eleva fino a raggiungere le vette di una riflessione politica più generale e senza tempo. “...quest’odio, che mai non avvicina il popolo Lombardo all’Alemanno, giova a chi regna dividendo, e teme popoli avversi affratellati insieme”. In queste parole sembra essere poeticamente preso a modello il celeberrimo “divide et impera” utilizzato dagli antichi Romani per sconfiggere i propri nemici. Genti amiche, affratellate, che si arricchiscono dal confronto fecondo delle proprie differenze, sono da sempre molto più difficili da controllare e da vincere. Popoli divisi, rabbiosi ed invidiosi, d’altra parte, sono sempre stati facile preda di chi ha saputo far leva proprio sulle loro rivalità. Un messaggio forte di fratellanza fra le genti, ma anche di unità nazionale. Solo un popolo unito sarà capace di farsi valere, di scrollarsi di dosso gli odiati invasori e di stabilire con loro rapporti di paritaria collaborazione, semmai addirittura di amicizia. Ma il Giusti, da buon autore di satira del costume, non avrebbe potuto concludere con un messaggio così altamente patriottico e didascalico senza rischiare di suonare eccessivamente “predicatorio”. Per questo motivo, negli ultimi due versi, finge di svegliarsi da queste sue nuove considerazioni, per chiudere il testo con l’ultima sferzata beffarda rivolta alle truppe austriache (che però non potrà che suonare, a questo punto, bonaria, anzi quasi amichevole): Il caporale “piantato come un piolo” chiude il testo con l’ultimo colpo di coda del poeta, che non può esimersi dal rimanere “dalla propria parte”, pur avendo dimostrato di comprendere con profonda compassione due aspetti fondamentali: La pietas italiana, ovvero la capacità di un popolo storicamente vittima di numerose angherie che, invece di isterilirsi solamente nell’odio contro i propri carnefici, inizia a provare disgusto per le angherie stesse (da qualsiasi parte esse provengano), primo passo di una rinascita etica e morale del vinto. In secondo luogo il Giusti prova un’umana compassione per la sorte di chi, costretto a combattere guerre lontane ed ingiuste, ottenga in cambio del proprio sangue solamente le briciole di un bottino che giunge tutto nelle tasche di quello che oggi, non senza una qualche ironia, si potrebbe definire “l’utilizzatore finale”.

Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco
per que' pochi scherzucci di dozzina,
e mi gabella per anti–tedesco
perché metto le birbe alla berlina,
o senta il caso avvenuto di fresco,
a me che, girellando una mattina,
capito in Sant'Ambrogio di Milano,
in quello vecchio, là, fuori di mano.

M'era compagno il figlio giovinetto
d'un di que' capi un po' pericolosi,
di quel tal Sandro, autor d'un romanzetto
ove si tratta di promessi sposi...
Che fa il nesci, Eccellenza? o non l'ha letto?
Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,
in tutt'altre faccende affaccendato,
a questa roba è morto e sotterrato.

Entro, e ti trovo un pieno di soldati,
di que' soldati settentrionali,
come sarebbe Boemi e Croati,
messi qui nella vigna a far da pali:
difatto, se ne stavano impalati,
come sogliono in faccia a' Generali,
co' baffi di capecchio e con que' musi,
davanti a Dio diritti come fusi.

Mi tenni indietro; ché piovuto in mezzo
di quella maramaglia, io non lo nego
d'aver provato un senso di ribrezzo,
che lei non prova in grazia dell'impiego.
Sentiva un'afa, un alito di lezzo:
scusi, Eccellenza, mi parean di sego
in quella bella casa del Signore
fin le candele dell'altar maggiore.

Ma in quella che s'appresta il sacerdote
a consacrar la mistica vivanda,
di sùbita dolcezza mi percuote
su, di verso l'altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscìan le note
come di voce che si raccomanda,
d'una gente che gema in duri stenti
e de' perduti beni si rammenti.

Era un coro del Verdi; il coro a Dio
là de' Lombardi miseri assetati;
quello: O Signore, dal tetto natio,
che tanti petti ha scossi e inebriati.
Qui cominciai a non esser più io
e, come se que' cosi doventati
fossero gente della nostra gente,
entrai nel branco involontariamente.

Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
poi nostro, e poi suonato come va;
e coll'arte di mezzo, e col cervello
dato all'arte, l'ubbie si buttan là.
Ma cessato che fu, dentro, bel bello
io ritornava a star come la sa:
quand'eccoti, per farmi un altro tiro,
da quelle bocche che parean di ghiro

un cantico tedesco lento lento
per l'âer sacro a Dio mosse le penne.
Era preghiera, e mi parea lamento,
d'un suono grave flebile solenne,
tal che sempre nell'anima lo sento:
e mi stupisco che in quelle cotenne,
in que' fantocci esotici di legno,
potesse l'armonia fino a quel segno.

Sentìa nell'inno la dolcezza amara
de' canti uditi da fanciullo; il core
che da voce domestica gl'impara,
ce li ripete i giorni del dolore:
un pensier mesto della madre cara,
un desiderio di pace e di amore,
uno sgomento di lontano esilio,
che mi faceva andare in visibilio.

E quando tacque, mi lasciò pensoso
di pensieri più forti e più soavi.
«Costor», dicea tra me, «Re pauroso
degl'italici moti e degli slavi,
strappa a' lor tetti, e qua senza riposo
schiavi gli spinge per tenerci schiavi;
gli spinge di Croazia e di Boemme,
come mandre a svernar nelle maremme.

A dura vita, a dura disciplina,
muti, derisi, solitari stanno,
strumenti ciechi d'occhiuta rapina,
che lor non tocca e che forse non sanno:
e quest'odio, che mai non avvicina
il popolo lombardo all'alemanno,
giova a chi regna dividendo, e teme
popoli avversi affratellati insieme.

Povera gente! lontana da' suoi,
in un paese qui che le vuol male,
chi sa che in fondo all'anima po' poi
non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l'hanno in tasca come noi».
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale,
colla su' brava mazza di nocciolo,
duro e piantato lì come un piolo.

Giuseppe Giusti, poeta toscano nato a Monsummano Terme nel 1809, è stato uno scrittore particolarmente apprezzato nella prima metà del ‘900. Amico di Alessandro Manzoni, come si evince all’inizio del testo in esame, le sue poesie erano molto conosciute al tempo dei nostri nonni ed è stato grazie a loro che i nostri giovani, a volte ancora oggi, le ricordano con qualche affetto. Il poeta visse in un momento storico in cui i fermenti rivoluzionari agitavano gran parte dell’Europa in generale e del nostro Paese in particolare. Gli intellettuali del tempo ognuno a suo modo combattevano, criticavano e cercavano di minare alla base il potere costituito e restaurato all’indomani del Congresso di Vienna. Lord Byron era da pochi anni morto in Grecia nell’impresa di sostenerne l’indipendenza dall’impero Ottomano, Manzoni provvedeva alla stesura definitiva dei Promessi Sposi, con la loro critica al potere militare straniero in Italia, mentre Giuseppe Mazzini soffiava, dal proprio esilio, sul fuoco dei nascenti ideali unitari e rivoluzionari italiani, tedeschi e polacchi. E’ in questa temperie culturale che viene concepita la satira del costume e del potere contenuta all’interno delle rime di Sant’Ambrogio. Una satira che, nella ricorrenza dei 150 anni della nascita della nostra Nazione, potrebbe tornar utile rispolverare per guadagnare una visione maggiormente articolata della complessità del pensiero italiano pre-unitario. Leggendo queste rime si respira dunque l’aria asfittica dell’Ancient Regime, redivivo all’indomani del ciclone napoleonico, ma anche la brezza di quella “Primavera dei Popoli” che nel 1848 animerà i moti rivoluzionari in tutta Europa. Il nostro Paese, con un ritardo di quasi mille anni rispetto agli altri grandi stati nazionali europei, stava per trovare finalmente la propria strada unitaria. Nello scritto si ritrovano però, accennati con un’estrema delicatezza, temi più intimi, segno di come, nell’idea dell’autore, il sentimento patriottico non fosse solamente un tema della politica “elevata”, ma più semplicemente un comune e tenero sentir rinascere dentro di sé l’amore e la fratellanza tra i popoli. Il canto del Verdi assume quindi nel testo la stessa importanza che per Proust avrà (circa una settantina di anni dopo) la celeberrima Madeleine nell’opera “À la recherche du temps perdu”. Nell’esempio proustiano sarà un odore ed un sapore a riportare l’autore alla propria infanzia, mentre nel caso del Giusti sarà un canto italico, udito in Chiesa per bocca di un esercito invasore, a servire come “grimaldello” dell’anima. L’arte, strumento elettivo di unione dei popoli, permette all’autore di iniziare ad immedesimarsi nella condizione degli odiati austriaci entrando nel loro “branco”. Sentimento umanissimo e comunissimo quello di deporre (almeno momentaneamente) i propri pregiudizi di fronte ad uno “straniero” che dimostri di saper apprezzare e farsi portatore di valori e simboli che ci sono cari. Sentimento provato anche dal viaggiatore quando, solo in un paese lontano, senta parlare la propria lingua e si senta perciò immediatamente sollevato dalla presenza di qualcuno in grado di capirlo e di essere (almeno idealmente) solidale con lui. Da notare, inoltre, come il Giusti  si preoccupi di nominare nel suo scritto (non certo a caso) due tra i più importanti esponenti dell’epoca di quello che si potrebbe definire “un artistico patriottismo militante”: Manzoni e Verdi. Una continuità quasi consustanziale con il lavoro dei suoi più famosi ed illustri colleghi, segno del bisogno dell’autore di sentirsi a propria volta sorretto, nella stesura della propria “bagatella”, dal pensiero di chi stia combattendo nel nome di ideali simili ai suoi. La seconda svolta, ancora più intima e sensibile, giunge con il “cantico tedesco lento lento”. Anche questa volta non è un caso che l’autore lo paragoni ai “canti uditi da fanciullo [...] da voce domestica”: In quest’ottica la regressione al mondo dell’infanzia è formidabile strumento di unione fra popoli. L’universalità dei sentimenti materni è, infatti, uno dei pochi dati incontrovertibili della specie umana. Cambiano le credenze religiose, l’etica, la morale, le usanze ed i costumi, ma il sentimento fondante della famiglia, l’affetto genitore-figlio, è rimasto sostanzialmente immutabile per millenni in tutti i popoli della terra. Anche questa volta non è certamente un caso che il poeta, in un momento di smarrimento e difficoltà (del singolo e della comunità) si affidi ad una regressione degli uomini verso una primigenia felicità e fanciullezza. L’uomo, il politico, il guerriero, nel momento del dolore, si appella ai propri sentimenti più profondi, più semplici, più consolatori, scavando nell’età dell’oro della propria infanzia per dimenticare, per un lungo istante, il penoso presente. I bambini non odiano, non capiscono la politica, non  sentono differenze di razza, religione, censo, ma, in compenso, sanno amare con un trasporto ed un abbandono che spesso da grandi si dimentica. E’ a quei sentimenti che il poeta fa appello per superare di slancio e definitivamente i propri pregiudizi. Altra “madeleine”, altra sottilissima corda toccata con estrema delicatezza dal Giusti per risvegliare, negli animi addormentati dall’odio e dal rancore, un sentimento di primigenia umanità capace di cambiare davvero l’ordine costituito. Grazie a queste due note, intime ed umane, il poeta può solidarizzare con gli invasori, può aprir loro il proprio animo, senza rischiare di risultare un traditore agli occhi dei suoi. L’amore e la fratellanza, verso qualsiasi essere siano rivolti, non hanno bandiera, non riconoscono schieramenti (oggi si direbbe che non sono né di destra né di sinistra), ma sono solamente le “gambe” di chi sappia stare al mondo in pace con se stesso e con gli altri. Questi sentimenti, striscianti, ma pur presenti nell’animo del Giusti e di chi, come lui, ami e speri in un mondo migliore per tutti, segnano il passo di un’epoca giunta al proprio termine. Perfino le “Eccellenze” italiche, allevate e pasciute al terribile motto “Francia o Spagna, purchè se magna”, dovettero arrendersi alla Storia che, nella sua avanzata, trascinò con sè anche l’Italia insieme a molti dei suoi recalcitranti abitanti. Probabilmente il Giusti avrebbe saputo ironizzare ancora a lungo su questo popolo un po’ lazzarone ed un po’ nobile, capace di strigersi sotto un’unica bandiera, ma incapace di dimenticare (fino ai nostri giorni) ataviche rivalità municipali che lo rendono ancora schiavo delle proprie disuguaglianze, invece che fecondo nel godere delle reciproche differenze. Purtroppo però il tempo del poeta era quasi giunto al termine: Giuseppe Giusti morì nel 1850, undici anni prima di poter vedere l’Italia unita. Eppure, come per tutti quelli che “credettero ancora prima di vedere”, la crudele ironia della sorte riuscì solo in parte nel proprio intento. L’Italia, nella testa di pensatori come il Giusti, era già una Nazione unita da tempo. La “burocratica geografia” che seguì la corona sabauda nella sua discesa verso il Quirinale di Roma servì solo a “ratificarla” agli occhi di chi non aveva mai avuto la Fede di crederci per davvero.

2 commenti:

  1. complimenti per il commento! da estimatore del giusti e della storia patria sono stato colpito dall'assoluta mancanza, in rete ed altrove, di note e contestualizzazioni storiche a questa bellissima e celebre poesia di un poeta d'ingegno sopraffino ed ahimé troppo poco studiato ed estimato specie dalla gioventù. grazie ancora per aver rischiarato ai miei occhi tanto brillantemente questi versi che, al pari delle madeleines mi riporta agli anni dorati dell'infanzia. e grazie alla mia amatissima maestra delle elementari, la signora Antonia!

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  2. Complimenti per il commento, era proprio ciò che stavo cercando.

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